Dalla direzione aziendale ai giardini mediterranei: una lezione di intelligenza distribuita
Fino a qualche anno fa, passavo le mie giornate dentro una sala riunioni. Come responsabile di una filiale d’ingegneria, partecipavo a lunghe call strategiche, pianificazioni annuali, proiezioni. Ma, dentro, qualcosa si era incrinato. Non condividevo più gli obiettivi che mi venivano chiesti. Non credevo che fare “più ponti e più strade” fosse la direzione giusta — né per me, né per il mondo. Sentivo che il mio tempo, la mia energia, dovevano servire qualcosa di più vero, più vivo. È stato così che ho iniziato a guardare fuori. Prima metaforicamente, poi letteralmente. Verso la natura. Verso le piante.
Oggi progetto giardini mediterranei in Italia. E più studio il mondo vegetale, più mi accorgo di quanto abbia da insegnarci. Anche — o forse soprattutto — su come organizzarci meglio, noi esseri umani.
Intelligenze senza gerarchie
L’intuizione è nata leggendo due libri, apparentemente lontanissimi tra loro. Uno era Plant Revolution di Stefano Mancuso, neurobiologo vegetale. L’altro, Reinventare le organizzazioni di Frederic Laloux, dedicato ai nuovi modelli di leadership aziendale evolutiva, detti “Teal”. Entrambi parlano di sistemi intelligenti, ma senza un capo.
Mancuso spiega che le piante non hanno un cervello centrale, né un cuore o organi gerarchicamente superiori. Tutto in loro è modulare e distribuito: ogni gemma, ogni radice, ha una propria autonomia decisionale, eppure agisce in profonda connessione con il tutto. Questo rende la pianta resiliente: se una parte viene danneggiata, le altre continuano a vivere e a reagire.
Laloux dice qualcosa di simile delle organizzazioni Teal: gruppi umani senza vertici rigidi, dove le persone non seguono ordini, ma propositi. Ogni membro è libero e responsabile, guidato da una bussola interna. Non c’è un “capo” che decide, ma un’intelligenza collettiva che emerge dall’interazione. Come un ecosistema.
Come un albero, come un team
In azienda, avevo visto come i team auto-organizzati potessero funzionare — se c’era fiducia, tempo e motivazione reale. Le persone si muovevano con più senso, più energia, più cura. La sfida più grande, però, era culturale: siamo abituati a credere che debba esserci sempre qualcuno che comanda. Le piante, invece, ci dicono un’altra cosa.
Un albero è fatto da milioni di unità autonome: le gemme, le foglie, gli apici radicali. Ogni parte cerca ciò di cui ha bisogno — luce, acqua, minerali — e, nel farlo, sostiene tutto il sistema. Nessuno comanda. Tutti cooperano.
Questo è ciò che in biologia si chiama intelligenza distribuita: una forma di intelligenza che nasce non da un centro, ma dalla rete stessa. È semplice, flessibile, efficace. Ed è alla base anche di molte innovazioni umane: Wikipedia, per esempio, è cresciuta come un ecosistema vegetale. Milioni di persone collaborano, senza una gerarchia, senza incentivi finanziari, guidate solo dalla fiducia e dalla responsabilità.
Dal management al giardino
Quando progetto un giardino mediterraneo, in fondo sto applicando gli stessi principi. Scelgo piante che si adattino al clima, che sappiano vivere bene in quel tipo di terreno, che possano coesistere e sostenersi. Studio l’ecosistema naturale, le alleanze spontanee tra le specie. Dopo un primo anno di cura e irrigazione attenta, il giardino inizia a vivere da solo. Non ha più bisogno di me. Ed è bellissimo così.
Questo mi ha insegnato una cosa importante: la progettazione giusta è quella che rende superfluo il controllo. Anche nei team. Anche nelle relazioni.
Cosa serve davvero
Servono tempo, fiducia, visione. Nel mondo vegetale, non c’è fretta. Le soluzioni non sono immediate, ma sono spesso definitive. Le piante non evitano i problemi — li affrontano, lentamente, fino a risolverli. E lo fanno insieme.
Nel mondo del lavoro, invece, vediamo ancora spesso l’opposto: centralizzazione, urgenza, performance esasperate. Eppure, chi ha provato anche solo una volta a lavorare in modo orizzontale, sa che qualcosa cambia. Si accende una scintilla. Ci si sente vivi.
A chi parlo
Scrivo questo non solo per chi ha lasciato il corporate, come me. Ma per chi sente che un altro modo è possibile, e magari sta ancora cercando le parole per spiegarlo a sé stesso. Per chi ha dentro di sé un’intuizione, un’inquietudine, un seme.
E forse basta poco: un giardino, un libro, una radice che cerca l’acqua — per farlo germogliare.