Il metodo Miyawaki: ecologia, stratificazione e scoperte personali

Alla scoperta del metodo Miyawaki

Quando mi è stato affidato il compito di supervisionare un giardino ispirato al metodo Miyawaki, ho sentito il bisogno di approfondire davvero i fondamenti di questo botanico giapponese. Il suo approccio, nato negli anni ’70, si basa sulla fitosociologia: osservare le comunità vegetali spontanee e ricreare ecosistemi in miniatura. Ogni piantagione parte dallo studio del sito e delle sue specie potenziali, per strutturare boschi con alberi, arbusti, sottobosco e tappezzanti. L’obiettivo non è piantare alberi isolati, ma ricostruire un sistema vivo, biodiverso e multilivello.

Principi, potenzialità e limiti

Uno degli aspetti più noti è l’alta densità: circa tre piante per metro quadrato, non solo alberi ma specie dei diversi strati. Questo stimola competizione e accelera la crescita, a patto che ci sia preparazione del terreno, scelta di specie compatibili e cura intensiva nei primi anni. Miyawaki contrapponeva il suo metodo a due approcci: le monocolture produttive, efficienti ma fragili e povere di biodiversità; e i giardini ornamentali, belli ma ecologicamente deboli. Uno degli aspetti che mi ha colpita di più è la centralità della convivenza spontanea tra le piante. La compatibilità ecologica, non solo botanica, è il principio cardine: non basta che una specie sia autoctona, dev’essere anche capace di collaborare, resistere, adattarsi alle altre all'interno dello stesso sistema. Questa idea risuona profondamente con la mia personale filosofia di giardinaggio: lavorare con la natura, non contro, promuovendo relazioni equilibrate, anche nei contesti artificiali del giardino.

Tuttavia, lo studio del metodo mi ha portata anche a riflettere criticamente. Alcuni studi segnalano che, dopo una decina d’anni, la competizione tra piante può diventare così intensa da causare una mortalità elevata e, in certi casi, persino una riduzione della biodiversità iniziale.
Come in ogni approccio, quindi, servono consapevolezza, contesto, adattamento.

Dal metodo all’adattamento

Nel caso del giardino che stavo seguendo (Scopri di più), era evidente fin da subito che sarebbe stato impossibile replicare alla lettera il metodo: gli alberi forniti erano già sviluppati, spesso di grande dimensione, e il tempo a disposizione limitato. Il mio obiettivo è diventato allora un altro: tradurre i principi del metodo in una versione adattata e comunicabile, capace di incuriosire chi lo avrebbe visitato e, magari, invitarlo ad approfondirlo a sua volta.

E così è stato.

 

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