Come è nata Terra Ascoltata
Fino al 2020 ero convinta di non avere il “pollice verde”.
Quell’anno lavoravo in una casa del XV secolo a Roma. Sulla terrazza c’era un vecchio melograno in vaso, che non fioriva più. Solo qualche foglia chiara in primavera, fragile, timida. Sentivo che la terra nel vaso era esausta. Così, in un gesto un po’ istintivo, un po’ di sfida, ho sostituito tutta la terra con una nuova — quasi mezza tonnellata. Le radici sembravano pietra secca. Dopo pochi mesi il melograno esplose nel verde. Non ricordo se fiorì mai, ma per me quel gesto segnò qualcosa: Anche io meritavo l’amore della terra. Da lì, ho riempito la terrazza di piante, seguendo un’estetica spontanea, istintiva. La facciata del palazzo cambiò volto.
Quando ripartii per l’Arabia Saudita per gestire una nostra filiale di ingegneria a Riyad, non mi dispiacque lasciare quel giardino: Avevo capito che il bello si può offrire, senza possederlo.
Oggi, quando parlo di “ascoltare la terra”, non intendo qualcosa di troppo tecnico. Sono una progettista del verde, sì, ma non sono un agronomo.
Ascoltare, per me, significa guardare ciò che cresce spontaneamente e dedurre il carattere del suolo da chi ci vive già. Significa anche non forzare il terreno per adattarlo ai desideri estetici, ma ascoltare quello che può accogliere con naturalezza. Ogni intervento sul suolo ha un costo — non solo economico, ma ecologico. E il terreno, col tempo, tende sempre a tornare sé stesso. Per questo preferisco scegliere piante adatte, osservare, e poi lasciarle camminare con i propri piedi.
Anche nel mio percorso personale ho capito che il bisogno di controllare nasceva spesso dalla paura. Quando mi accorgevo di voler forzare le cose, era perché avevo perso la fiducia — in me stessa, negli altri, nel processo. Con il tempo ho imparato a fermarmi, guardarmi dentro. Le risposte non sono state immediate. Ascoltare — davvero — è qualcosa che ho dovuto (e voluto) imparare. Con coraggio, e con tempo. E ancora la strada è lunga.
So di certo che ascoltare implica fermarsi e stare in silenzio, senza scappare o creare distrazioni.
A forza di ascoltare, qualcosa è cambiato.
Il cambiamento è iniziato il giorno in cui mi sono dimessa dal mio ruolo da general manager. Mi sono chiesta: “Cosa ti piace fare quando non devi fare nulla?” E la risposta che è emersa con chiarezza è stata: creare con la natura.
Un’attività che teneva insieme molte delle cose che amavo e che mi appartenevano da sempre, ma di cui non avevo il coraggio di fare una professione: la natura, l'essenziale, il senso del bello, la passione per l’arte, la creatività, il benessere profondo, l’etica, la capacità di vedere e organizzare sistemi complessi.
Il landscape design non è stato solo un nuovo inizio: è stato il punto in cui tante parti sparse della mia identità hanno trovato casa. E così è nata anche Terra Ascoltata: un modo di vivere il giardino e di vivere me stessa.