Giardino realizzato all’interno del Festival Radice Pura

Data: Maggio 2025

Attività svolta: supervisione lavori

UN GIARDINO BOSCHIVO

In questo progetto, i progettisti Asmita e Parth hanno voluto sperimentare un’alternativa ai classici muretti o recinzioni, immaginando una fascia di vegetazione boschiva ispirata al metodo del botanico giapponese Akira Miyawaki. Un’idea potente: usare la forza della natura per tracciare i confini, senza costruzioni rigide, ma con un ecosistema vivo, dinamico e in evoluzione.

In assenza dei progettisti, il responsabile del festival mi ha affidato la supervisione completa del giardino. Ho seguito ogni fase: dalla gestione in cantiere alle scelte di planting, dalla revisione delle specie al bilanciamento finale delle quantità.

Prima di iniziare, ho voluto approfondire il metodo Miyawaki. Puoi leggere qui le mie riflessioni e scoperte sul suo approccio ecologico (Scopri di più)

La principale differenza tra il metodo originale e la realizzazione effettiva stava nella dimensione delle piante: Miyawaki parte da piccole piantine, mentre noi avevamo a disposizione alberi già sviluppati, spesso con ampie chiome e ingombri notevoli. L’unica via possibile era lasciarsi guidare dalle piante stesse. Mano a mano che arrivavano sul sito, decidevo il posto giusto per ciascuna, cercando di mantenere l’equilibrio generale e rispettare l’anima del progetto: varietà, stratificazione, armonia delle distanze (circa 60–80 cm). Ho orchestrato forme e volumi, immaginando il giardino non solo com’era nel presente, ma come potrà evolversi negli anni.

Tra le protagoniste del giardino, una sughera di tre metri dal tronco elegantemente inclinato – un’opera d’arte vegetale –, un bagolaro (Celtis australis), un carrubo a tre tronchi quasi dal colletto. Accanto a loro, alloro (Laurus nobilis), ilatro (Phillyrea angustifolia), pistacchio (Pistacia lentiscus), tamarice (Tamarix gallica) e ancora teneri olivi (Olea europea), pino d’Aleppo (Pinus halepensis), pino domestico (Pinus pinea). Una sorpresa è stata la palma nana (Chamaerops humilis), l’unica palma autoctona siciliana: una presenza discreta, ma identitaria.

Sulla fascia più vicina al confine del giardino, sono state piantate le lavanda (Lavandula angustifolia), santoline (Santolina chamaecyparissus) e valeriana rossa (Centranthus ruber), una specie che ho incontrato spesso nei miei viaggi lungo le scogliere e i vecchi muri dell’Etna, ma che qui ho dovuto far arrivare dalla Toscana, poiché assente in Sicilia. E poi l’acanto (Acanthus mollis), vigoroso all’inizio, ma sofferente col tempo – forse colpito da oidio o semplicemente troppo irrigato.

Gli ultimi dettagli sono stati un omaggio al paesaggio: casette per uccelli in corten, che con il tempo si ossideranno naturalmente; una grande pietra recuperata da un magazzino; e pietre di tufo a definire il perimetro del bosco.

Questo giardino non è solo un confine verde: è un luogo che racconta, accoglie e si trasforma, come una piccola foresta che cresce sotto i nostri occhi e insegna il valore del tempo, della cura e della coesistenza.

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Quando la forma incontra la vita