Piante come testimoni del paesaggio

Giardino realizzato all’interno del Festival Radice Pura

Data: Aprile 2025

Attività svolta: realizzazione, coordinamento.

PIANTE COME TESTIMONI DEL PAESAGGIO.

Quando abbiamo iniziato la costruzione di questo giardino, ero completamente immersa nelle attività quotidiane del cantiere: tracciare, coordinare, misurare, imparare a leggere i disegni, comprendere i materiali. Era il mio primo progetto sul campo, e il mio obiettivo era soprattutto imparare e dare il massimo. In quel momento, tutta la concentrazione era rivolta al “fare”: seguire le quote, posare le strutture, assistere nella messa a dimora. Non c’era molto spazio per fermarsi a guardare l’insieme.

Solo a lavori finiti, a distanza di due mesi, e ancora di più dopo aver letto il testo del progettista Nicolas Roth — paesaggista e studioso con un PhD ad Harvard — ho iniziato a cogliere il significato più profondo di quel giardino.

Il progetto nasce da una ricerca sorprendente: raccontare l’identità botanica dell’Afghanistan non attraverso mappe floristiche, ma attraverso le fotografie scattate nel corso dei conflitti che hanno segnato il paese. In quelle immagini, spesso drammatiche, Nicolas ha riconosciuto segni di vita — piante sopravvissute in paesaggi feriti da anni di instabilità. Pur non avendo mai visitato l’Afghanistan, è riuscito a ricostruire un mosaico di ambienti e specie, restituendo loro forma e voce all’interno di un giardino.

Oggi, camminando tra le terrazze coltivate di Pelargonium graveolens, Chrysanthemum, Vitis vinifera, le rose damascene e moscate, Prunus dulcis, e poi passando verso le piante più selvatiche — Nannorrhops ritchiana, Cedrus deodara, Tamarix hispida — percepisco un dialogo presente. Le piante sono lì, con i loro significati e le loro relazioni.

Una delle cose che mi ha colpito di più è stata la coesistenza tra specie note e ignote, comuni e rare. La palma Mazari (Nannorrhops ritchiana), poco coltivata e quasi sconosciuta in Europa, cresce spontaneamente accanto alla salvia yangii, una pianta ormai familiare nei nostri giardini, ma con radici profonde proprio nei territori afghani. Questo accostamento racconta di parentele invisibili, di geografie condivise che resistono nel tempo.

In cantiere, tutto questo non si vedeva ancora. Ma oggi, camminando in quel giardino, percepisco un senso di pace e continuità. Questa esperienza ha ampliato il mio modo di guardare le piante. Mi ha mostrato che le piante possono essere vere testimoni del paesaggio: capaci di attraversare i cambiamenti del tempo, di adattarsi, di sopravvivere. E proprio nel loro restare, rivelano strati di memoria, cultura, storia.

Come progettista, oggi porto con me questo sguardo in più: uno sguardo che cerca, in ogni pianta, anche il suo passato, la sua memoria, la sua voce nel racconto del luogo. Perché costruire un giardino significa anche questo: accompagnare presenze vive a diventare parte di un paesaggio che parla.

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PIANTE NON ARRIVANO DA SE

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